l'intervista - Angelo Tassi

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Giorgio Ruggeri intervista Angelo Tassi
Tratto da "ANGELO TASSI, PAESAGGI DELL'ANIMA"
di Giorgio Ruggeri
Nuovi Sentieri Editore
1984



IL QUESITO DI COLLERIDGE

Se un uomo
attraversasse in
sogno il paradiso
e gli dessero un
fiore come prova
di esserci stato, e
destandosi si
trovasse in mano
quel fiore?...

BOTTA E RISPOSTA

-Qual'è il tuo nome e dove abiti?
-Mi chiamo Angelo Tassi. Vivo con la mia famiglia a Bologna, in via Valdossola.
-Qual'è la tua professione?
-Vorrei risponderti che sono pittore.
-Che cosa vuol dire essere pittore?
-Per me pittore è colui che sa produrre uno sguardo inatteso sulle cose e che sa lavorare nei particolari, nei dettagli, sui frammenti. Sono convinto che in arte la bellezza sia un istante privilegiato. Non m'importa se una corrente culturale ritiene de farne a meno affermando che oggi l'arte non fa estetica. Da tempo, si dice, le arti non vogliono essere arti belle. Sarà, ma nessuno mi toglie dalla testa che le opere durano soltanto per la bellezza della forma. Per i Greci il bello era la rivelazione della verità. Se così non fosse, tanto varrebbe recuperare la battuta di Medardo Rosso (1885) quando disse che l'arte è soltanto uno scherzo di luce: el rest l'è tutta bottega.
-A cosa serve l'arte?
-A niente. Mi viene in mente quella signora impellicciata che osservando in un campo alcuni castori, chiede: “A cosa serve un castoro vivo?” Di rimando il naturalista interpellato: “A niente, come Mozart”. L'arte non è mai servita a nulla. Neppure a riasciugare il dolore degli uomini. Forse, semmai, a farci soffrire su un piano più alto.
-Come passi il tuo tempo?
-Dipingo, dipingo. Anche quando non dipingo penso con i colori. Se ascolto musica, vedo colore. Se leggo poesie, l'emozione si tramuta in colore. Lavoro quasi sempre nel mio studio, tutto il giorno, anche se mi capita talvolta di combinare poco o niente. Quel poco e quel niente fanno parte della mia piccola storia. Capisco Oscar Wilde allorché interpellato da un amico su come aveva trascorso la mattina, il poeta rispose di aver messo una virgola a un verso. L'amico di rincalzo: e il pomeriggio? L'ho tolta, fu la risposta. Anche a me talvolta succede di tracciare al mattino una sola pennellata che nel pomeriggio mi industrio a cancellare. Ma in quel mettere e in quel cavare, quanto tormento
Come passo il mio tempo? Spesso, mentre dipingo, ascolto musica. Le arie quasi barocche di Albinoni sono affascinanti, anche se riconosco che i suoi maestri Vivaldi e Corelli, che pure amo, hanno maggior tenuta. I minuetti del veneziano non mi impediscono tuttavia di gustare la limpida tromba di Armstrong o il jazz orchestrale di Duke Ellington, come pure la magica cornetta di Benny Goodman, il re dello swing. Nessuno poi si stupisca se mi sorprende a storpiare celebri romanze. Le ouverture di Rossini e di Verdi mi aumentano il tasso di vitalità. Come passo il mio tempo? Mi piace leggere. Recentemente ho riletto il maestro e Margherita di Bulgakov, che giustamente Montale ha definito “il miracolo di un secolo di letteratura”. Prendo anche dei drizzoni, alla grande. Sono stato (e lo sono tuttora) un patito dell'antico Egitto.
Sull'argomento ho divorato tanti libri da indurre i miei figli a burlarsi di me. Anche la civiltà Maya e Azteca hanno incendiato la mia fantasia. Tutto ciò che sa di archeologia m'affascina e mi rapisce.
-Sei contento di te?
-Ogni sera, prima di addormentarmi, ripercorro con la mente la giornata trascorsa, e tiro le somme in una sorta di bilancio. Talvolta mi si stringe il cuore; tal'altra mi si allarga per la gioia. Chissà cosa vado sperando, quando so bene come la speranza inganni.
-Che cosa ti occorre?
-Non lo so. Tutto e niente. Fra le quotidiane angustie esistenziali cerco un riparo, un luogo protetto che, quando lo trovo, rappresenta per me uno squarcio di ragionevole felicità. In quei momenti – un tempo molto rari, oggi più frequenti – il lavoro va liscio come l'olio. Ritengo la pace nel cuore il dono più grande.
-Chi sei tu?
-Non lo so. Sono un uomo. Non ho idee chiare sulla mia persona. Sono pronto al sorriso, pronto a comporre eventuali contrasti, ma sento tutto il peso della dura realtà che mi sovrasta. Fingo di non dare importanza, ma le cose che faccio le affronto con impegno. Per lunghi anni ho insegnato arte nelle scuole. Fin dai primi tempi mi resi conto di cosa voleva dire insegnare una disciplina ai ragazzi. Quale arduo compito di collaborazione reciproca si esigeva. Ho amato la scuola. I ragazzi mi risposero sempre perché capivano i miei sentimenti. Ho di loro un buon ricordo. Di tanto devo essere grato soprattutto al mio maestro, Giuseppe Regazzi, nella cui scuola sono stato prima studente, poi docente. Lo chiamavamo il Prof. Era un maestro che non cercava discepoli ma amici coi quali ragionare. Chi non è stato allievo o collega del Prof si domanda stupito come ha potuto questa minuta e timida persona godere tanto ascendente, fino scuotere le coscienze di coloro che lo frequentavano. Il libero Istituto di Belle Arti del Professor Regazzi, è stato per cinquant'anni una presenza viva a Bologna, dove si sono formate e consolidate le ossa numerosi artisti, sia allievi che docenti: gli uni e gli altri allora giovanissimi. Fra i tanti ricordo Luciano Minguzzi, Luciano De Vita, Cleto Tomba, Pompilio Mandelli, Leone Pancaldi, Giorgio Giordani, Beppe Mazzoli, Ferruccio Giacomelli, Gino Marzocchi, Rezio Buscaroli, Irnerio Patrizi, Luciano Bertacchini, Giuseppe Gagliardi, Norma Mascellani, Guido Bugli, Pilati, Carlo Savoia, Gaetano Arcangeli, Achille Facchinetti, Cosentino: a tutti questi e tanti altri hanno compiuto un proficuo lavoro di qua o di là dalla cattedra.
Oltre che insegnante (“Nessuna cosa al mondo mi avvinceva e mi impegnava come l'insegnamento”, disse un giorno ricordando il passato quando già si preparava alla dipartita) il Prof è stato un pittore capace di dare forma e colore alle inquietudini del suo animo. Sull'artista di certo prevalse il docente, ma la corretta visione del mondo, la trasparenza dei sentimenti, la trepidante sensibilità di un cuore di poeta si rivelano non solo al ricordo delle sue parole, ma traspira con disarmante innocenza dai suoi quadri.
-Guadagni?
-Il lavoro mi viene retribuito.
-In che misura?
-Anche se non amo il denaro, è giusto pretendere la giusta mercede. Non sono ricco e non mi interessa esserlo, quindi di certo non lo diventerò. Guadagno quel tanto che serve alla mia famiglia, o forse è la famiglia che si adegua alle mie entrate. Nella vendita dei quadri seguo un criterio uguale per tutti: il rispetto della mia quotazione che , per altro, ritengo modesta.
-Chi conosci?
-Ho molti amici, con loro trascorro ore liete, più spesso di sera, al circolo. Sono di gusti semplici. Talvolta mi basta anche una partita a carte perché ha il potere di scaricarmi la tensione accumulata durante il giorno. Sono le ore del disimpegno. Di rado mi trovo a discutere d'arte, argomento che tratto con persone particolarmente interessate, con i quali ci battiamo talora anche fino alle ore piccole. I miei incontri abituali avvengono con Romanino, maestro nella stampa serigrafica; con i due Ruggero, l'uno (Ruggy per gli amici) insuperabile a raddrizzare le gambe agli orologi e ottimo fotografo; l'altro dirigente di alto rango. Un'amicizia di lunga data mi lega a Franco e Franca Merighi, titolari della “Merighi Arte”, una fonderia di altissima qualità che getta in bronzo capolavori d'arte plastica. Un amico di cui vado fiero è Nino Migliori, un artista di fama europea nel campo della fotografia. Simpatia e ammirazione mi legano a Tristano solido paesaggista, a Pino maestro stipettaio e a Carlo Santachiara, scultore e disegnatore di straordinarie qualità e di forte spessore umano. Non devo dimenticare Giorgino, uno stampatore ricercato; né Claudio e Raimondo emprimeurs corteggiati dagli artisti per la cura e l'impareggiabile perizia nel tirare acqueforti a colori. E poi Renzo infallibile nell'aggiustare telefoni, Paolo manager di prim'ordine, Gianni mago della chimica, Beppe prezioso business man.
Come ricordarli tutti? Lio con le sue mele, Giancarlo con il suo sogno americano, l'Ermanno micologo, l'Otello razza Piave, Renato senza orli. E che dire delle loro bellissime mogli? Enry, Diana, Cetta, Giò, Tina, la Tacchi, la dottoressa, l'Aldina, Carla, Dea e altre e altri ugualmente cari che la memoria non mi aiuta a ricordare.
Forse qualcuno resterà sorpreso di non trovare fra i miei amici Picasso, De Chirico, Guttuso e altri pontefici dell'arte. A parte che i primi due non sono più tra noi, i maestri, o cosiddetti tali, io non li fumo. Li stimo per quel che valgono; li studio per quel che possono darti o per quel tanto che da loro puoi capire; ma la loro amicizia -ammesso che te ne facessero grazia- sarebbe per me ingombrante. Senza scomodare gli dèi dell'Olimpo, conosco e stimo non pochi artisti coi quali mi incontro alle vernici o altrove e coi quali scambio qualcosa di più dei convenevoli. Alcuni mi sono stati maestri, altri colleghi, altri ancora compagni di studio all'Accademia. Fra tutti vorrei qui ricordare, oltre a quelli dianzi citati, Mandelli, Ghermandi, Cleto Tomba, Minguzzi, Mastroianni, Manaresi, Ilario Rossi, Pancaldi, Mascalchi, Frasnedi, Leonardi, Pozzati, Bertacchini, Barilli, Franchi, Saliola e tanti altri. Last but not least, Bruno Saetti e Virgilio Guidi, operanti altrove. Poi gli scomparsi, che come numi tutelari mi campeggiano nella memoria: Morandi, Corsi, Romagnoli, Lea Colliva.
-Come posso aiutarti?
-Fin dal nostro primo incontro (ti conoscevo perché leggo quanto scrivi) ho cercato da te quanto ho sempre desiderato: un colloquio. Un colloquio però che non si limitasse a un incontro saltuario più o meno fugace, bensì che continuasse nel tempo, e ti dirò perché.
Sentivo e sento tuttora, affinché il mio lavoro proceda nel modo migliore, la necessità di ricevere stimoli non solo dall'ambiente di cui vivo, ma anche dalle persone che frequento. L'affetto che mi lega ai miei amici non mi fa velo se dico che da loro ricevo un bene immenso, ma non sempre la spinta che mi occorre per risolvere i miei segreti problemi dell'arte. Gli influssi, si sa, sono una gran cosa. Per Goethe da ogni oggetto scaturiva una stupenda parentela, un'armonia così perfetta con l'intera natura che ogni cambiamento di luogo, di ora, di stagione lo commuoveva intimamente. Subiva con gioia i più labili influssi. Giungendo a Roma pare esclamasse: “Finalmente sono nato!” Mettendo piede in Italia gli sembrò di prendere per la prima volta coscienza di sé e di esistere. Ecco un esempio di quali importanti influssi ci possono giungere dall'ambiente. Vorrei citare anche André Gide, quando racconta di aver letto un libro, e dopo averlo letto, l'ha chiuso, l'ha collocato su un ripiano dello scaffale; ma in quel libro vi era una certa frase che non poteva dimenticare. Era discesa così profondamente in lui, da non poterla più scindere da se stesso. Da allora in avanti si sentì diverso da come sarebbe stato se non avesse letto quella frase. Anche dimenticando il libro in cui l'ha letta, anche dimenticando di averla letta. Come spiegare questa forza, se non come un potente e risoluto influsso?
Anche le persone possono essere portatrici di forti influssi. Ogni artista non ha soltanto il proprio intelletto, ma anche quello di tutti i suoi amici.
Credo sia stato Nietzsche ad affermarlo.

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